UN PENSIERO PER LA III DOMENICA DI PASQUA: CE LA FAREMO!

Due uomini, in viaggio di ritorno verso casa (Emmaus): è la scena che l’evangelista san Luca ci descrive per questa prossima domenica (leggi nel Vangelo di Luca, capitolo 24, versetti 13-35).

A Gerusalemme hanno assistito a un fallimento, perché quel Gesù in cui avevano riposto tutte le loro speranze, che si definiva “figlio di Dio”, è morto. Finita! Sono tristi per questo. Delusi.

Capiterebbe lo stesso anche a noi. Anzi capita spesso: la vita, le situazioni e le persone a volte deludono. E noi… idem: possiamo essere una delusione per altri!

Un viandante li affianca, e fa un pezzo di strada con loro. Non lo conoscono, ma a poco a poco, da curioso, entra in dialogo con questi due e li tira fuori dal tunnel della tristezza e li conduce sulla strada (di casa) della Parola, del Pane, della Presenza e della vera Pasqua. Innanzitutto con la sua Parola.

Mai come in questi giorni, forse, abbiamo dato un po’ di tempo a leggere e ascoltare la Parola di Dio: ci siamo accorti – come quei due amici – di quanto le parole hanno un peso, e soprattutto “laParola di Dio, per un credente. Il vangelo (e la Bibbia in generale) non è un libro di ricette, o facili soluzioni… ma è un cartina geografica (oggi si dice Navigatore satellitare) per camminare ogni giorno nella fede, in Gesù morto e risorto.

I due discepoli di Emmaus stavano sì tornando a casa loro, ma…era come se avessero perso la strada e l’orientamento.

Fuori dai denti: per ritrovare un senso alle nostre giornate e alle nostre scelte di vita, per recuperare quel centro e quell’equilibrio, che spesso smarriamo, abbiamo bisogno diuna parola buona! vera! In questo ultimo periodo, ognuno a modo suo, è andato alla ricerca di una risposta, di un consiglio, di una parola che ci dia un po’ di consolazione.

La chiesa si è sbizzarrita, con i social (le messe di tante parrocchie in streaming) e con i vari programmi televisivi e radiofonici, a offrirci momenti di preghiera e di riflessione a tutte le ore della giornata, a partire dalla S. Messa celebrata da Papa Francesco, trasmessa ogni mattina alle 07.00.

Da questo punto di vista, il sociologo Franco Garelli, intervistato su Avvenire di domenica 19 aprile, afferma che è cresciuto in Italia il bisogno di religiosità e spiritualità (in questo tempo del COVID 19), ma soprattutto tra i “già” praticanti.

Tante persone esterne, ed estranee al mondo della Chiesa istituzionale, delle nostre parrocchie e del cattolicesimo in generale, si lasciano “agganciare” solo da proposte di senso, da parole forti che sappiano interpretare il vissuto quotidiano, senza moralismi. Certe parole (quelle di Dio, naturalmente) non sono immediatamente disponibili e convincenti, per tutti. Nessuno di noi “beve” (pur avendo sete) a qualunque fonte, né si lascia convincere subito dalle prime parole che ascolta. Dico bene? Non stupiamoci allora di quella fetta di delusi e indifferenti, che circonda il “nostro” mondo, ma che chiede di essere intercettata e rispettata. L’aggettivo “laico” (mondo laico) non significa di serie B, rispetto a quello cristiano-cattolico; laico significa semplicemente “del popolo”, cioè espressione della vita concreta di ognuno, nella propria situazione familiare, affettiva, lavorativa, emozionale. Ogni scelta di vita, ogni persona, va accolta sempre come un dono. Diverso da noi, certo: proprio per questo un dono, che ci può arricchire.

Anche Gesù, da viandante straniero, non si impone a quei due e ai loro discorsi, ma domanda prima di tutto di cosa stessero discutendo lungo il cammino, e poi dà la sua interpretazione. Con profondo rispetto.

Dice ancora Garelli che “si tratta di distanze da colmare o comunque di approcci differenti; esiste una domanda di senso verso la quale occorre ricalibrare il rapporto. E una comunità mediamente vecchia, nel suo personale religioso, e anche per certi aspetti un po’ burocratizzata, può avere difficoltà a relazionarsi con un’istanza che cresce soprattutto a livello giovanile”.

Detto in parole semplici: in questi giorni ci siamo “svestiti” di tante inutili sovrastrutture, assunte dalle nostre parrocchia, in modo esageratamente efficientista (e forse anche un po’ esagerato e asfissiante), e abbiamo riscoperto il valore del “deserto”, del silenzio, del fare tabula-rasa, per lasciar parlare… Dio!

Dobbiamo re-imparare tutti insieme l’alfabeto della vita cristiana, dove E sta per essenzialità ed F sta per fragilità. Parole, atteggiamenti, scelte di vita…. di nuovo possibili!

A me non sembra affatto poca cosa! Solo la verità…affascina e attrae (tutti, giovani e meno giovani!).

Le altre tre parole (Pane, Presenza, Pasqua) le teniamo insieme per dire la cosa più importante per noi credenti: là dove si condivide il pane nasce la fraternità; il pane eucaristico della domenica (con la partecipazione alla Celebrazione della S. Messa in parrocchia) è quel gesto che rende presente il Signore Risorto in mezzo a noi. Ed è di nuovo, ancora, sempre Pasqua

Facciamoci alcune semplici domande:

Come i discepoli di Emmaus, sappiamo ancora Ri-conoscere Cristo e accoglierlo, con fede ogni domenica, nella celebrazione comunitaria della Eucarestia? Il nostro cuore si accende, andando alla Messa? i nostri occhi e i nostri volti si riempiono di gioia e di forza? Ci accorgiamo del dono grande di scoprirci amici, soprattutto fratelli, attorno all’unica mensa di Cristo? Brutalmente parlando: abbiamo sentito il bisogno di andare a Messa alla domenica? Ci è mancato questo incontro?

Alessandro D’Avenia, come accennato all’inizio, nel suo contributo sul Corriere della sera di lunedì 20 aprile, si chiede se “ce la faremo”. Si tratta davvero di una bella riflessione, su una delle pagine più belle dei Vangeli di Pasqua (vi invito ad andare a leggerla interamente).

I discepoli di Emmaus invitano quel viandante straniero a fermarsi con loro, e a condividere il pasto; ed è proprio lì nello spezzare il pane che scoprono chi è e lo riconoscono.

“Cresce il mistero: quando lo vedono non lo riconoscono, quando lo riconoscono sparisce. Riconoscere non è dato agli occhi, ma allo spirito”.

Riprendiamo con coraggio la cura-dello-spirito, dell’anima, come si dice.

Ancora, per capirci di più sul fatto che a Pasqua Qualcuno è Risorto, e … noi-con-Lui:

“Risorgere è la ricetta per dare infinito gusto alla vita, perché permette di riconoscere la vita nascosta in ogni cosa: a casa, a lavoro, nel dolore, nella fatica, nelle relazioni, nella luce sulle foglie… in tutto, perché solo ciò che viene fatto con e per amore diventa vivo. Così la «vita di sempre» diventa la «vita per sempre». Solo così «ce la faremo»”.

 

E …scopiazzando ancora da Daniele Mencarelli, nel suo articolo su Avvenire, sempre di domenica 19 aprile, si dice spesso che:
“Niente sarà come prima, anzi, tutto sarà come prima!…

…nell’espressione Niente sarà come prima, noi conferiamo al mondo il ruolo di cambiare anche per noi… invece dovremmo dire, sempre, tutti: Niente sarà come prima, p e r   m e. Non una esortazione generica, ma una scelta di vita.

Da questo momento in poi, le mie azioni, la mia disponibilità agli altri, i valori che dominano nella mia vita, non saranno quelli di prima. Io non sarò più quello di una volta. È questa la vera rivoluzione. Non chiedere agli altri, non demandare a nessuno quello che spetta a noi. …

Niente sarà come prima: è già successo. Duemila anni fa. Basta essere disposti all’unica vera rivoluzione”.

 

Perché: i due discepoli sono cambiati da quell’incontro…………

Ce la faremo! Anche noi.

 

don Domenico Bertorello